IL SONDAGGIO: - Carbone come combustibile?

lunedì 27 maggio 2013

CHI E’ A2A? QUALE RUOLO HA L’ENERGIA NEL PIANO INDUSTRIALE DI A2A? DA DOVE PROVIENE IL PROGETTO PER LA NUOVA CENTRALE A CARBONE DI A2A?

 di carlo Iernetti

Il testo è stato redatto sulla base dell’intervento effettuato da Matteo Gaddi, giornalista della rivista Progetto Lavoro, nel corso della serata del 3 maggio 2013 organizzata dal COMITATO NO CARBONE ISONTINO.

La A2A è una società per azioni (quotata in borsa) nata il 1 gennaio 2008 che proviene dalla trasformazione di due aziende ex-municipalizzate e precisamente la AEM di Milano e la ASM di Brescia.
Le municipalizzate erano quelle aziende messe in piedi dai comuni per gestire i servizi fondamentali della città di interesse collettivo come rete idrica, trasporti, distribuzione dell’energia, smaltimento dei rifiuti. Erano società pubbliche create per soddisfare i bisogni locali dei cittadini, operavano in un regime di monopolio, ma anche in un contesto in cui l’obiettivo non era fare utili, ma rispondere alle esigenze del territorio e della popolazione, e il controllo sulle società era demandato alla classe politica e di conseguenza attraverso il meccanismo democratico della rappresentanza in ultima istanza ai cittadini.
Alla fine degli anni ottanta,
inizio degli anni novanta, il capitale privato si rende conto che nella gestione di questi  servizi pubblici vi sono delle allettanti occasioni di businnes, così inizia un lento processo di privatizzazione nella gestione dei servizi pubblici. E’ un processo che coinvolge tutto il mondo occidentale ed in Italia è stato sostenuto e promosso anche dalle normative della comunità europea. Lentamente e progressivamente passano i concetti che: “il pubblico è inefficiente”, “il regime di monopolio è un danno per l’utente finale”,  “il libero mercato concorrenziale ha il potere di migliorare i servizi”, “la gestione di tipo privatistica di una azienda la rende più efficiente”. Così importanti settori nella gestione dei beni comuni vengono piano piano ceduti nel controllo dallo stato ai privati.
Fa da terreno di sperimentazione il mercato della telefonia , in Italia vengono recepite con un certo ritardo le direttive UE n. 387 e 388 del 1990 e soltanto nel 1997, sotto il primo governo Prodi, viene disposta la privatizzazione della Telecom e la concessione di nuove autorizzazioni  ai gestori privati. 
Per il mercato dell’energia durante il primo governo D’Alema viene approvato il decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999 (detto decreto Bersani, che recepiva la direttiva comunitaria n.92 del 1996) che fissa le norme per il funzionamento del mercato interno dell’energia e che impone la privatizzazione e lo scorporo di parte delle proprietà  dell’Enel e la separazione fra i servizi di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica, e la conseguente creazione di Terna.
L’anno dopo sotto il secondo governo Amato viene approvato il decreto legislativo n.164 del 23 maggio 2000 (detto decreto Letta, che recepiva la direttiva comunitaria n.30 del 1998) che detta analoghe norme per il mercato del Gas Naturale.
C’è da osservare che le normative comunitarie non imponevano la privatizzazione dei mercati dei servizi pubblici, ma erano norme a tutela dei cittadini nel caso lo stato membro avesse deciso di aprire il mercato ai privati, quindi lo scopo era quello di mantenere delle garanzie nella gestione dei beni comuni, mentre i nostri politici hanno sempre dichiarato che era un obbligo imposto dalla comunità europea  (recentemente  la vicenda dei referendum sull’acqua pubblica ha smascherato questa bugia, difatti attualmente  è possibile avere delle gestioni totalmente in house per la rete idrica).
Comunque sia dopo l’entrata in vigore dei suddetti decreti legislativi e in particolare del “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” (decreto legislativo n. 267 del  18 agosto 2000 emanato sempre ad opera del secondo governo Amato), che regolamentava  anche la possibilità di trasformare le aziende municipalizzate in S.p.A., è iniziata questa corsa alla creazione ed alla aggregazione di municipalizzate con l’intento di formare delle aziende sempre più attrezzate e aggressive per trovare spazio nel mercato italiano e anche estero.
L’A2A è uno degli esempi più caratteristici di questo fenomeno, ed ha portato questa azienda, ora quotata in borsa, a perdere ogni suo carattere territoriale e di buona gestione dei “beni comuni locali”, ed a trasformarla in una azienda di rilievo nazionale che progetta, realizza e gestisce impianti di produzione di energia e di smaltimento rifiuti anche con una forte propensione verso il mercato europeo.
Oggi l’A2A oltre a gestire il servizio idrico integrato, lo smaltimento dei rifiuti e la distribuzione del gas naturale per i comuni di Milano e Brescia, ha svariate attività su tutto il territorio nazionale: l’inceneritore di Brescia, l’inceneritore di Acerra, impianti di produzione idroelettrica in Friuli Venezia Giulia, Calabria e Montenegro, inoltre ha impianti di produzione termoelettrica con centrali a Monfalcone, Gissi in Abruzzo, Crotone in Calabria e in Montenegro.
Attualmente gli azionisti noti sono per il 27,5 % il Comune di Milano, per il 27,5 % il Comune di Brescia, e per il 2,5 % una finanziaria denominata Carlo Tassara S.p.A. di proprietà di un noto finanziere svizzero-polacco di nome Roman Zaleski, di cui recentemente il giornale “il Sole 24 Ore” ha denunciato le capacità di aggirare le norme fiscali degli stati in cui opera.  Ma per il regolamento della Consob che norma il funzionamento del  mercato azionario, c’è l’obbligo a dichiarare solo gli azionisti che hanno una quota superiore al 2%, quindi non si sa a chi appartiene il restante 41-42 % del flottante sul mercato, ed è molto probabile che non siano piccoli azionisti, magari cittadini, ma piuttosto finanziarie con sede a New-York o piuttosto alle isole Cayman, oppure fondi di investimento i cui gestori non si preoccupano minimamente dell’attenzione etica ed ecologica dell’azienda o delle politiche di sostegno sociale adottate per i cittadini dei territori in cui opera, ma tengono d’occhio unicamente l’andamento del titolo.
Recentemente questa politica di A2A ha subito una accelerazione dovuta alla vicenda Edison. Edison era una storica azienda italiana di produzione di energia elettrica che, a seguito del decreto Bersani, aveva inglobato alcuni impianti di produzione inseriti in una sua controllata: EdiPower. Edison diventa nel 2011 oggetto di contrattazione fra due contendenti che vogliono rilevarla: da una parte Electicitè de France e dall’altra A2A sorretta da IREN, l’ S.p.A. nata dalle municipalizzate di Genova e Torino, e da due società trentine.  Nel 2012 la trattativa arriva ad una soluzione per la quale EdF acquisisce Edison, mentre A2A ed IREN acquisiscono EdiPower  (le società trentine si erano defilate durante la trattativa). Dopo poco IREN cede ad A2A la sua quota di controllo su EdiPower e quindi dal 6 febbraio 2012 A2A ed Edipower formano una unica azienda consolidata che acquisisce una dimensione ancora maggiore nel panorama italiano (in particolare EdiPower gestisce le due grosse centrali termoelettriche – 320 MW ciascuna – di Brindisi Nord).
Dall’ultimo piano industriale presentato da A2A si desume che fra tutte le attività dell’azienda:  Acqua, Calore, Gas, Rifiuti ed Energia, è quest’ultima che porta le maggiori entrate, all’incirca il 50%; è quindi il settore strategico,  e sempre nel piano industriale si prevede un ulteriore incremento del settore, e di conseguenza sono previsti notevoli investimenti, con il principale obiettivo di ridurre le inefficienze, in particolare negli impianti di Monfalcone e di Brindisi con l’introduzione del “Carbone Verde” e prevedendo anche l’utilizzo di biomasse.
Oggi, in un panorama in cui negli ultimi 15 anni è aumentata la capacità di produzione, ma al contempo la domanda di energia è in diminuzione, ed è in crescita l’utilizzo delle energie rinnovabili, A2A, pur dichiarando che il recupero della domanda sarà molto lento, mette in campo questa proposta del “clean coal”.
Ma per stabilire l’utilità di un tale impianto sarebbe indispensabile avere un piano energetico regionale ed un piano energetico  nazionale, sarebbero necessarie delle previsioni attendibili sulle tendenze di sviluppo nazionali e sulle politiche di sviluppo industriale basate su seri strumenti di programmazione che tengano conto delle esigenze di tutta la collettività nazionale e anche di quella locale e non solo gli interessi economici dei produttori o gestori di questo impianto.

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